venerdì 18 novembre 2016

Video - Intervista a Enrico Fiori Gruppo Folk Oristano



a cura delle volontarie della Pro loco di Oristano

Durante la nostra ricerca abbiamo avuto modo di parlare con Enrico Fiori fondatore del gruppo folk “Città di Oristano” che lo scorso anno ha compiuto cinquant’anni, e scopritore del costume tradizionale di Oristano.

Fin da bambino il signor Fiori è stato interessato al folklore tanto da effettuare delle ricerche sul costume di Oristano, di cui si trovano alcuni ritratti e acquarelli, per poi farlo rivivere come oggi lo conosciamo.

Video - Ballu a Sulittu 'e Campidano



a cura dei volontari della Pro loco di Santadi

Il Gruppo Folk di Nuxis si cimenta nel loro ballo tipico accompagnati dal suono del Sulittu Campidanese.

Organologia degli Strumenti sardi

a cura di Davide Chia volontario della Pro loco di Santadi

L'ORGANOLOGIA è la scienza che studia gli strumenti musicali, ne indaga la storia, ne descrive le caratteristiche acustiche e meccaniche, le tecniche costruttive e infine le prassi esecutive.

Il termine deriva dal greco ὄργανον (= utensile, strumento, strumento musicale) ed è stato usato per la prima volta da Michael Praetorius nel suo trattato “Syntagma musicum”, del 1618.

Solo alla fine dell'Ottocento Victor-Charles Mahillon (1880-1922) sviluppò, sulla base degli studi di François-Auguste Gevaert (1828-1908), una classificazione suddivisa in quattro parti, perfezionata poi da Eric Moritz von Hornbostel e Curt Sachs nel 1914.

Le quattro classi organologiche, determinate sulla base del principale materiale vibrante, sono:
1) cordofoni, 2) aerofoni, 3) membranofoni e 4) idiofoni.

Fuori dall'Europa, la trattatistica musicale si è dedicata all'organologia secoli prima, in particolare in Cina, in India e nel mondo arabo.

Probabilmente già nell'VIII secolo a.C., in Cina, sulla base del materiale ritenuto più importante, viene concepito il sistema dei bayin (八音), “otto timbri”, corrispondenti a metallo, pietra, seta, bambù, zucca, terra, pelle e legno. Tale classificazione si diffuse in tutta l'Asia orientale.

La stessa classificazione europea in quattro categorie perfezionata da Hornbostel e Sachs, sembra sia stata ispirata da un'opera in sanscrito, “Nātyaśāstra”, trattato su teatro, poesia e musica del saggio Bhārata, databile in un arco di tempo che va dal 200 a.C. al 200 d.C.

 → I CORDOFONI, sono gli strumenti musicali comunemente chiamati “a corda”.

Producono il suono attraverso le vibrazioni prodotte dalle corde di cui sono dotati.

Le corde, affinché venga prodotto il suono, devono essere tese. La vibrazione si può ottenere:

Percuotendo le corde (es. pianoforte);
Percuotendole con le dita, con plettri o attraverso meccanismi azionati da tastiere che inducono il pizzico sulla corda (come ad esempio avviene nel Clavicembalo);

Strofinandole con archetti (Violino) o ruote (Ghironda).

Gli strumenti cordofoni si suddividono in:

Cordofoni semplici, che si possono considerare completi col solo supporto che mantiene fisse e tese le corde;
Cordofoni compositi, in questi ultimi può essere presente una cassa armonica (risuonatore) che è tutt'uno con lo strumento.

A seconda della posizione reciproca tra corde e piano del risuonatore i cordofoni compositi si distinguono in:

Liuti. A parte le lire, nei liuti la struttura esterna al risuonatore è un manico (diritto o incurvato) e le corde corrono parallele al manico e al piano del risuonatore. Nei liuti a manico, come anche in altri strumenti a corde, si possono trovare la "tastiera" che consente di determinare l'altezza della nota da eseguire, il ponte che consente di tendere le corde sullo strumento e i piroli (bischeri) o le chiavette o le meccaniche (a seconda del tipo di strumento) con cui può essere regolata la tensione delle corde, allo scopo di accordare lo strumento.
Arpe nelle quali il piano delle corde le corde taglia perpendicolarmente il piano del risuonatore.
Arpe liuto (es. Kora africana), nelle quali le corde partono con andamento parallelo al piano del risuonatore, ma sono fissate al manico in modo che si dispongano perpendicolari al piano del risuonatore.

Per realizzare le corde si utilizza l'acciaio, il bronzo, il nichel, il nylon o il budello, ricavato dall'intestino di bovini o ovini, in cordofoni semplici come le arpe eoliche si usa la seta.

I primi cordofoni vennero costruiti nella preistoria: veniva tesa una corda fra le estremità di un'asta di legno flessibile (arco musicale: Cetra a bastone flessibile), formando una struttura molto simile a quella di un arco ed è molto probabile che inizialmente venissero utilizzati gli stessi archi da caccia.

Soltanto in seguito lo strumento venne dotato di un risuonatore ottenuto da materiali cavi, come noci di cocco svuotate, altra frutta dal rivestimento duro, ma anche zucche tagliate a metà o altri oggetti che si prestassero ad amplificare il suono prodotto dal pizzicamento delle corde, dalla percussione con bastoni appositi (magari muniti di sonagli) o dallo sfregamento di queste con un altro arco di dimensioni ridotte, abbozzo del moderno archetto.

Appartengono a questa famiglia gli strumenti musicali sardi denominati Serraggia, Ghitarra e Cannada.

→ Negli strumenti AEROFONI è l'aria stessa il mezzo che viene messo in vibrazione producendo suono. Quindi possiamo dire che gli aerofoni sono quegli strumenti in grado di emettere suoni per mezzo di una vibrazione d’aria, senza avvalersi di corde o membrane vibranti.

Nella classificazione di Hornbostel-Sachs, gli strumenti aerofoni sono divisi in due classi, a seconda che l'aria che vibra sia contenuta in una cavità dello strumento (aerofoni risonanti o strumenti a fiato veri e propri), oppure no (aerofoni liberi).

Si dicono aerofoni “liberi” quegli strumenti che generano direttamente un'onda sonora nell'aria circostante, senza produrre un'onda stazionaria in un volume d'aria racchiuso dallo strumento.

Questa classe comprende gli strumenti ad ancia libera come l'armonica a bocca e anche altri strumenti come la sirena e l'armonica o gli aerofoni a vortice come il cosiddetto Rombo, la rotula della zampa di suino (o il bottone) che vengono fatti roteare su sé stessi.

Il serbatoio d'aria→ Per quanto riguarda la riserva d'aria, gli aerofoni possono ricevere il flusso d'aria dai polmoni dell'esecutore o da altre fonti, attingendo ad un serbatoio d'aria.

In pratica l'aria non viene insufflata direttamente nello strumento a fiato, ma viene accumulata in serbatoi (zampogne, cornamuse) o caricata con mantici (organi a canne, fisarmoniche, organetti diatonici, eccetera).

E’ anche possibile utilizzare la bocca dell'esecutore come serbatoio d'aria (launeddas, respirazione continua con trombe, sax, clarinetti nelle performance jazz, ecc.).

Si dicono aerofoni “risonanti” quegli strumenti in cui, a differenza degli aerofoni liberi, l’aria che vibra è contenuta in una cavità dello strumento, come accade, per esempio, nel caso dei flauti, delle ance e degli ottoni.

Appartengono alla famiglia degli aerofoni gli strumenti musicali sardi denominati Launeddas, Trumbitta, Benas, Pipiolu, Flautu’e linna e de canna, Iskeliu, Organette, Fisarmonica, Sonu a bucca, Armonium, Chigula, Ossu’e pruna e ‘e sarmentu, Corru’e boe e corru marinu, Trunfa, Caligh’e murru, Moliette’e canna, Muscone e Frusciu.


 → I MEMBRANOFONI sono una classe di strumenti musicali in cui il suono è prodotto dalla vibrazione di una membrana tesa.

Essi si suddividono in due tipologie.

I tamburi e i mirlitons. Alla prima appartengono quegli strumenti in cui la membrana viene posta in vibrazione attraverso:

Percussione diretta, ad esempio con le mani o con le bacchette. L'esecutore, compiendo la percussione, è in grado di generare un singolo colpo alla volta.
Percussione indiretta. L'esecutore non controlla ogni singola emissione sonora, ma il suo gesto provoca il suono o i suoni a raffica. A questa tipologia appartiene, ad esempio, il tamburo tibetano (facendo roteare il tamburo sull'asse del manico di cui è dotato, due battenti legati sul fusto vanno a colpire alternativamente le membrane) e il tamburo sonaglio degli amerindi (i piccoli oggetti contenuti nel tamburo vanno a colpire le membrane quando il tamburo viene scosso).
Pizzico. Una cordicella mantenuta tesa viene pizzicata trasmettendo la vibrazione alla membrana, come ad esempio il gopi yantra del Bengala
A frizione. La frizione può essere generata direttamente sulle pelli come nel caso delle spazzole utilizzate sulle membrane della batteria; oppure la frizione generata su una bacchetta o su una cordicella, si trasmette alla membrana e la mette in vibrazione (ad esempio putipù o caccavella o cupa cupa, cuica).

Alla seconda categoria, detta dei mirlitons, appartengono gli strumenti in cui la membrana è posta in vibrazione mediante la vibrazione delle corde vocali dell'esecutore in modo da modificarne il timbro. Ad esempio si possono citare, oltre ai mirlitons europei, il kazoo e alcuni richiami per uccelli.

Appartengono a questa famiglia gli strumenti musicali sardi denominati Tumbarinu, Tedazzeddu e Moggiu.

→ Negli strumenti musicali chiamati IDIOFONI, il suono è prodotto dalla vibrazione del corpo stesso dello strumento, senza l'utilizzo di corde o membrane tese e senza che sia una colonna d'aria a essere fatta vibrare. In base alla classificazione gli idiofoni si suddividono nelle seguenti famiglie:

percussione diretta (l'esecutore compie il gesto di percuotere e produce un singolo colpo alla volta). Il colpo può essere effettuato con le mani o con altri oggetti, ad esempio con una o più bacchette o con le mani ; lo strumento può ricevere il colpo sbattendolo contro pareti o contro il pavimento;
o percussione diretta a concussione (due o più oggetti uguali fatti battere tra loro come nei piatti, nelle nacchere;

percussione indiretta a raschiamento (ad esempio la bacchetta che scorre lungo le scanalature del guiro cadendo dentro ad ogni scanalatura vi produce un suono che diventa a raffica;
percussione indiretta a scuotimento interna o esterna (le maracas sono un esempio di percussione indiretta interna, dovuta a piccoli oggetti contenuti nello strumento che quando viene agitato produce suono per i colpi contro le pareti e tra gli oggetti stessi);
strappo, è il caso dei tre cucchiai usati nel ballo popolare europeo, dove due oggetti (in questo caso due cucchiai accostati) battono tra loro quando ne viene fatto passare in mezzo un altro , che, "strappando", induce l'allontanamento e il brusco riavvicinamento degli altri due oggetti;
pizzico, come nel caso dello scacciapensieri;
frizione, come nel caso del bicchiere di cristallo sfregato sul bordo;
aria ad esempio quando fa battere tra loro oggetti sospesi.

Appartengono a questa famiglia gli strumenti musicali sardi denominati Campanas, Triangulu, Regulas, Affuente, Cannapida, Zucca, Furrianughe, Mumusu, Mamuthones, Campaneddas ladas, Ischiglitos, Tabeddas, Matracca a roda, Matracca, Ranas e canna de taula, Taulittas e Matracca corruda.

La Musica Folkloristica in Sardegna

Giuseppe Biasi,corteo nuziale
a cura di Davide Chia volontario della Pro loco di Santadi

Con questo termine quindi ci si riferisce solo ed esclusivamente a quella parte di musica che veniva tramandata oralmente, di generazione in generazione, da un popolo.

Una delle maggiori difficoltà legate alla ricerca sulle tradizioni musicali sarde sta proprio in questo:

la mancanza di una tradizione scritta, la mancanza di documentazione conservata per le generazioni future, quelle che non apprendono più come si faceva un tempo, “per sentito dire, o raccontare” “per averlo visto coi propri occhi” ma attraverso libri, documenti, video, file, siti internet, che riportano alla luce un passato ormai molto lontano. Infatti la musica folkloristica si imparava e si trasmetteva soprattutto “ad orecchio” e perciò col passare del tempo le canzoni potevano variare nel ritmo e nell’intonazione, facendo della continua evoluzione un caratteristico tratto della musica folk.

La musica folk sarda (ma il riferimento può essere esteso alla musica folk in generale) poteva essere eseguita da persone che avevano studiato la musica ma perlopiù era prodotta da musicisti e cantanti non professionisti e, a volte, neppure grandi intenditori di musica. In genere questi “improvvisatori” traevano ispirazione da eventi concreti, come le grandi feste religiose, la primavera, i festeggiamenti e le celebrazioni di città e paesi per produrre musica.

Le canzoni prodotte venivano molto spesso accompagnate da particolari balli.

→ Quando si parla di ETNOMUSICOLOGIA, ci si riferisce a quella parte della musicologia e anche dell'etnologia che studia le tradizioni musicali orali dei popoli del mondo.

Fino a pochi decenni fa tale disciplina veniva chiamata in maniera più generica “musicologia comparata”, poiché uno dei suoi scopi principali era il confronto delle musiche dei popoli extraeuropei tra loro e con quelle dei popoli occidentali.

Tale disciplina era nata sul finire del XIX secolo in Inghilterra e Germania, ma già nella metà del 1700 per effetto del mito illuminista del “buon selvaggio” e per il crescente interesse verso un certo tipo di archeologia musicale l'interesse verso la musica di continenti e civiltà extraeuropei si era già sviluppato.

Durante tutto l’Ottocento persistette una visione molto approssimativa delle musica extraeuropee, contaminata oltretutto da un giudizio estetico fortemente negativo.

Ma sul finire dello stesso secolo, tale atteggiamento poco oggettivo venne sostituito da uno sempre più scientifico, grazie anche all’influsso delle teorie evoluzionistiche e comparativistiche di Darwin e Spencer applicate anche in quest’ambito dagli studiosi della musica.

In questo modo gli studi musicologici sono progressivamente usciti dai confini di conoscenza musicale basata su presupposti colti e hanno capito quanto fossero parziali e insufficienti le teorie musicologiche basate sull’assunzione di determinati elementi teorici come gli unici in grado di costituire il vero paradigma della musica.

Oggi l'etnomusicologia è una scienza musicologica autonoma, che ha raggiunto, seppur lentamente, l’indipendenza dalle altre discipline musicologiche e folkloriche e importantissima perché ha come proprio oggetto di studio l’analisi specifica della produzione etnomusicale orale prodotta in aree o da culture poste al di fuori della tradizione musicale europea scritta e di tipo colto; l'indagine etnomusicologica si rivolge quindi verso la musica delle popolazioni ''primitive'', la musica orientale e il folklore musicale delle popolazioni dell'Occidente.


Tre sono le fasi attraverso le quali si sviluppa la ricerca etnomusicologica:

la prima fase è caratterizzata dalla raccolta sul campo, consistente nella registrazione di canti, danze e musiche strumentali nell'ambiente fisico e sociale degli ''informatori'' stessi.

La seconda fase si fonda invece sulla notazione e trascrizione del materiale raccolto, cui segue infine la terza fase, di elaborazione e di interpretazione dei dati, che rappresenta la fase conclusiva dell'indagine etnomusicologica.

Studi e fonti della Musicologia sarda.

Filippo Figari, decorazione murale
a cura di Davide Chia volontario della Pro loco di Santadi

Se rivolgiamo lo sguardo indietro nel tempo, ci accorgiamo che i lavori critici e storiografici sulla musica in Sardegna risultano pressoché inesistenti, “Silenzio assoluto, per alcuni millenni” (Dore). 

Solo in età moderna, a partire dal 1773, si hanno i primi riferimenti:

Giuseppe Fuos, cappellano al servizio del Re di Sardegna, fa dei fugaci accenni a qualche strumento musicale sardo, all’interno di alcune lettere in cui descrive gli aspetti più singolari delle tradizioni sarde, gli aspetti che più l’hanno affascinato. 

Il primo accenno alle Launeddas lo troviamo nel saggio di Giuseppe Madau, “Armonie dei Sardi” (1787).

La base di partenza per una ricerca organologica sarda può essere l’opera “Voyage en Sardaigne” di A. Della Marmora (1839).

Alcune notizie ci sono state lasciate anche dall’abate Angius nel “Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna” (1834-1856).

 “La musica è pel sardo religione, patria, focolare domestico”, così scriveva nel 1940 Giulio Fara, grazie al quale si devono sia le pagine più interessanti sull’organologia musicale sarda, sia l’avvio degli studi della “musicologia sarda”. In realtà, già nel 1841, Nicolò Oneto scrisse ”Memoria sopra le cose musicali della Sardegna” 

ma l’opera risultò essere molto confusa, limitata dalla descrizione di appena quattro strumenti. 

Tra gli studi più recenti dobbiamo ricordare “The Launeddas. A Sardinian folk Music Instrument” di A.F. Weis Bentzon del 1969 e “Musica sarda” di D. Carpitella, P. Sassu, L. Sole, del 1973. 

Termini utili ai fini della comprensione della ricerca. 

→ Il termine TRADIZIONE deriva dal latino traditiònem, a sua volta derivato da tràdere, verbo latino che significa  “consegnare, trasmettere” e che può assumere diverse accezioni in italiano, fra le quali quella di “consuetudine”, intesa come “trasmissione nel tempo” delle usanze, degli usi, dei costumi, dei rituali, della religiosità, della memoria degli eventi storici e delle leggende all'interno del gruppo umano di appartenenza, da parte delle generazioni che le hanno prima apprese, conservate, poi modificate ed infine trasmesse alle generazioni successive. Si tratta, in antropologia, di un vero e proprio fenomeno di “inculturazione”, di riproduzione delle “tradizioni popolari”, del “folklore”. 

→ Definire il concetto di MUSICA è un lavoro arduo e molto complesso. 

Tutti noi abbiamo esperienza di essa, tutti “produciamo” musica, per esempio quando banalmente cantiamo o “strimpelliamo” una canzone ascoltata alla radio e che ci piace, quando componiamo brani o “motivetti”, seriamente o con ironia: attraverso questi banali gesti riusciamo a soddisfare il bisogno innato di “comunicare” anche attraverso questa peculiare forma. 

Quindi, una prima definizione di “musica” può essere quella di “peculiare forma di comunicazione umana”. 

Tutti i linguaggi, da quello umano a quello utilizzato dagli animali, o a quello della tecnologia, hanno come obiettivo la comunicazione di un messaggio, di un informazione: anche la musica quindi veicola un messaggio, a volte chiaro e a volte velato, ma sempre accompagnato da melodie che ne esaltano il significato. 

La musica, proprio per il suo essere veicolo di significati è spesso usata e definita come linguaggio utile in particolar modo nell’ambito del sociale. 

Le origini della musica sono oscure, come quelle del linguaggio, celate nell’antichità della storia dell’umanità. A prescindere dalle sue origini, possiamo sicuramente affermare che tutti i popoli e le civiltà del mondo  possiedono una propria “storia della musica”, anche se con evidenti differenze. 

Infatti, mentre gran parte delle culture non occidentali non hanno avuto nelle loro lingue un termine la cui estensione semantica corrispondesse, in tutto o in parte al concetto di musica sviluppato dalle civiltà europee, ciò non ha impedito che producessero e utilizzassero, nel corso del tempo, forme e strutture sonore estremamente elaborate. 

Presso questi popoli, la musica non è concepita come “cosa” in sé ma viene identificata nelle sue manifestazioni concrete (la voce che canta, gli strumenti che producono suoni diversi) e in rapporto alle sue funzioni nella vita della comunità (riti, celebrazioni, attività lavorative, ecc.). 

Invece nelle culture occidentali il termine “musica” è stato coniato sulla base del vocabolo greco “mousikè”, il quale deriva dalla fusione del termine “musa” (etimo di origini oscure e dibattute: potrebbe essere nato da una radice che indica “montagna” in riferimento all’Olimpo, oppure dal verbo “ideare” ) con quello di “techné” (arte) e sottolinea in questo modo la complessa sinergia tra le tre componenti dell’arte delle muse: la poesia, la danza e la musica. 

Anche nell’antichità occidentale, come in quelle non occidentali (come si è detto prima), la musica non era concepita come arte a sé, ma come la componente sonora di un insieme di attività intellettive e fisiche, utilizzate durante le manifestazioni religiose e artistiche delle società. 

Allora, cercando di essere via via più precisi nella definizione di “musica”, tuttavia consapevoli che non si potrà arrivare ad un risultato univoco ed esauriente, potremmo dire che la musica è un’arte, un linguaggio utilizzato dai gruppi umani che, attraverso la combinazione dei suoni, se ne servono nel tentativo di veicolare messaggi e informazioni, che sono diretta espressione della propria cultura.
 
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La Tradizione Musicale Sarda

Museo degli Strumenti Musicali Sardi -  Tuili
a cura di Davide Chia volontario della Pro loco di Santadi

“La musica ha un grande potere: ti riporta indietro nel momento stesso in cui ti porta avanti, così che provi, contemporaneamente, nostalgia e speranza”
(Nick Hornby)

Le tradizioni musicali sarde sono ancora oggi radicate nella cultura dell’isola ma in maniera assai minore rispetto al passato. 

Il motivo principale è forse da ricercare nello sforzo, ancora oggi in atto, di uniformarci al contesto culturale italiano, abbandonando ciò che della nostra cultura abbiamo giudicato “grezzo”, qualcosa di cui vergognarci quasi, tutto ciò che troppo ci distingue come “popolo sardo” dal “popolo italiano”. 

Non possiamo che essere d’accordo con le parole di Giovanni Dore,

 “Le nuove generazioni ignorano l’etnomusicologia sarda e non conoscendola non la capiscono e conseguentemente la disprezzano come qualcosa di primitivo e selvaggio, e la rifiutano come una realtà sorpassata”. 

Ma non possiamo nemmeno trascurare la disattenzione degli studiosi, i quali hanno messo questo patrimonio in serio pericolo di estinzione.

Negli ultimi tre decenni soprattutto, dopo aver compreso l’enorme valore della tradizione culturale sarda che andava via via perdendosi, ci si è adoperati nel tentativo di recuperarla, provando a ricostituire, pezzo dopo pezzo, le varie tessere del mosaico che componevano l’antica cultura del nostro popolo.

Proprio durante questo “sforzo”, ci si è accorti che il settore che aveva subito maggiori danni era proprio quello relativo alla musica sarda, canti e strumenti musicali tipici in primis.

Il recupero della tradizione musicale sarda riveste un’importanza particolare se si considera che “la musica, intesa come la riproduzione o la creazioni si suoni e di melodie mediante l’invenzione ed il perfezionamento di strumenti musicali, è molto spesso indice di notevole sviluppo sociale, di Civiltà ben progredite, di bisogno di spiritualità e di capacità artistico – artigianale” (cit. Fabio Garuti).

La Sardegna poteva vantare circa 70 esemplari di strumenti musicali ma a causa della scomparsa del canto sardo dalle abitudini popolari è decaduto, di conseguenza, anche il patrimonio strumentistico sardo.

Oltretutto, come scrive Giovanni Dore 

“Il popolo sardo aveva affidato per diversi millenni la conservazione delle forme di musica strumentale come pure dei suoi canti, alla memoria e alla tradizione orale”. 

Altra causa che rende il lavoro di recupero difficile e molto complesso. 

Fortunatamente, accanto agli scenari esecutivi più tipici della tradizione, come le feste religiose e profane, si sono definite nuove occasioni e nuovi contesti, adattatisi al mutare dei modi della comunicazione: è il caso ad esempio delle trasmissioni televisive incentrate sulla musica tradizionale o del frequente ricorso all'incisione discografica da parte di molti cantori e suonatori.

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Video - "Sinfonie di Ossi"


a cura delle volontarie del Comune di Ossi

Ossi Web Tv ha avuto il piacere di collaborare con le volontarie che hanno partecipato al Servizio Civile, della durata di un anno, presso il Comune di Ossi, ospitandole nella propria sede e offrendo il suo supporto, per la creazione di un video-racconto riguardante il nostro Paese.

Il video dal titolo "Sinfonie di Ossi" raccoglie le nostre memorie e rappresenta il prodotto finale del lavoro svolto per il progetto "I Costumi musicali nella tradizione sarda". 

lunedì 14 novembre 2016

I Balli e i Costumi di Oristano

a cura delle volontarie della Pro loco di Oristano

Durante la nostra ricerca abbiamo avuto modo di parlare con Enrico Fiori fondatore del gruppo folk “Città di Oristano” che lo scorso anno ha compiuto cinquant’anni, e scopritore del costume tradizionale di Oristano.

Fin da bambino il signor Fiori è stato interessato al folklore tanto da effettuare delle ricerche sul costume di Oristano, di cui si trovano alcuni ritratti e acquarelli, per poi farlo rivivere come oggi lo conosciamo.

Il primo costume a noi noto è attualmente ospitato al museo dei costumi di Nuoro.

Il costume tradizionale prevede due tipologie a seconda dell'occasione in cui dev'essere utilizzato: uno da sposa, rosso, e uno da gala, nero.

La particolarità del costume di Oristano è senz’altro nell’uso abbondante del broccato di colore rosso, tra cui anche la berritta maschile, usata da pochissimi paesi in Sardegna.

Abbiamo avuto modo di sapere che durante la Sartiglia si era soliti ballare il ballo sardo con l’accompagnamento del tamburo, delle launeddas e anche dell’organetto.

I passi che tradizionalmente si ballavano erano “su ballu campidanesu” e “su passu a tresi”.

Attualmente, nei giorni della Sartiglia, si continua a ballare il ballo sardo nelle piazze, certo con un maggiore coinvolgimento di persone rispetto al passato, grazie anche all’opera svolta dalle numerose scuole di ballo sardo sorte in città negli ultimi tempi.

Tra i primi a svolgere questo ruolo di diffusione del ballo sardo c’è sicuramente Paolo Masala, già figlio d’arte, e suo figlio Vanni, bravissimo suonatore di organetto, che negli anni hanno sperimentato numerose attività musicali nelle piazze, anche con il coinvolgimento dei bambini.

I Passi della Sartiglia

a cura delle volontarie della Pro loco di Oristano

La Sartiglia non sarebbe la stessa senza il suono dei tamburini e dei trombettieri.

Ogni passo viene scandito con musiche differenti, come un vero e proprio rituale.

La domenica, dalla casa de s'oberàiu majori del Gremio dei Contadini e il martedì successivo, da quella del majorale en cabo del Gremio dei Falegnami, il gruppo dei tamburini e trombettieri, apre il corteo che accompagna il cavaliere prescelto verso la sede del Gremio dove avverrà la cerimonia della vestizione.

Questa sfilata, così come tutti gli spostamenti è accompagnata musicalmente dagli squilli di tromba e da su passu 'e strada.

Per la vestizione de Su Componidori del Gremio dei Contadini, nella giornata della domenica, il passo è spesso interrotto dal suono delle launeddas.

Momento culminante della cerimonia della vestizione è il posizionamento della maschera che trasforma il cavaliere in Componidori, anticipato da un triplice squillo di tromba di attenti e ritorno e una lunghissima rullata.
Una volta sistemata la maschera sul volto del cavaliere, la trasfigurazione  è compiuta e i tamburini eseguono su Passu de Su Componidori.

La corsa al galoppo, così come quella di tutti gli altri cavalieri che tenteranno di cogliere il bersaglio è annunciata dallo squillo di attenti e ritorno dei trombettieri ed accompagnato da Sa Curreba, una lunga e poderosa rullata in crescendo suonata dai tamburini.

Su Passu de su Gil è una suonata speciale che ha origine dalla tradizione militare dei tamburini della Gioventù Italiana del Littorio, accompagna su segundu Componi verso la postazione di partenza per la sua prova con la spada.

Su Passu de Su Terzu invece, accompagna il terzo componente della pariglia del capo corsa.

Su Passu de is bachitas viene eseguito nel momento in cui Su Componidori ritorna sul percorso per restituire lo stocco e ricevere lo scettro di viole mammole, sa pipia de màiu.

Come evoca il nome, questo passo si esegue sia percuotendo la pelle del tamburo, sia le bacchette tra loro.

Il gruppo dei tamburini e trombettieri ieri e oggi

a cura delle volontarie della Pro loco di Oristano

Fin dal principio, come risulta dai documenti della Prefettura conservati all'archivio del Gremio dei Contadini, la presenza dei trombettieri alla Sartiglia era direttamente legata alle disposizioni in materia di sicurezza: il loro ruolo era quello di segnalare la partenza dei cavalieri affinché il pubblico liberasse la pista.

Sino agli anni '30, si aveva solo un tamburino e un trombettiere.
Dagli anni '60, si registrano 11 tamburini e 4 trombettieri.

Dal 1954, anno di fondazione dell’Associazione Turistica Arborense, che poi sarebbe diventata Pro Loco, è nato il gruppo di “Tamburini e Trombettieri della Sartiglia  - Pro Loco Oristano”, uno dei gruppi storici della Sartiglia che ha il compito di tramandarne il tradizionale patrimonio artistico – musicale.

Così come per i cavalieri, anche per i tamburini e trombettieri l’impegno profuso nella preparazione è tantissimo. Le prove iniziano svariati mesi prima della giostra e nulla deve essere lasciato al caso.

Ogni aspetto viene curato: dall’immagine, con la cura dei costumi di foggia spagnola, dalle calzature, alla piuma del cappello, passando per le trine e i nastri argentati della giubba, così come l’aspetto musicale, che richiede tanto affiatamento tra i componenti, affinchè il suono di ogni tromba e tamburo diventi uno solo e riesca ad emozionare i cuori.

Inoltre, in occasione della Sartigliedda, che si tiene il lunedì di carnevale, dal 1981 è stato istituito un gruppo di mini tamburini e trombettieri che coinvolge bambini dai 7 anni in su.

Questi piccoli suonatori hanno lo stesso ruolo che svolgono i tamburini e dei trombettieri durante la Sartiglia e garantiscono il perpetrarsi nel tempo a questo ruolo emozionante come quello dei “musici della Sartiglia”.

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Sartiglia in "Pillole"

a cura delle volontarie della Pro loco di Oristano

La Candelora

L'organizzazione della giostra impiega cavalieri e Gremi per buona parte dell'anno, ma è il 2 febbraio, festività della Candelora, il primo atto ufficiale in vista dell'evento.

Durante questa giornata il presidente del Gremio, accompagnato dalle massime cariche del Gremio stesso, si reca a casa del Componidori prescelto e gli consegna il cero benedetto, comunicando così in forma ufficiale a tutta la città il nome di colui che avrà l'onore di guidare la manifestazione.

La sera della candelora viene organizzata una grande festa durante la quale il suono dell'organetto unisce tutti i partecipanti e li coinvolge nel ritmo dei passi del tradizionale ballo sardo.

Il Bando

L'avviso della corsa viene dato nella mattina della domenica di quinquagesima, e del martedì successivo, partendo dalla piazza Eleonora, la piazza antistante il Palazzo di Città.

Il banditore, scortato da alfieri recanti le insegne della città e accompagnato da tamburini e trombettieri, arriva nella piazza Eleonora e da lettura dell'annuncio dell'imminente corsa.

Su Bandidori rende note le volontà dell'autorità civica, l'orario d'inizio della gara e i premi riservati ai cavalieri vincitori che, secondo l'antica costumanza, dovranno cimentarsi nelle prove di abilità con la spada e la lancia, si comunica inoltre la disposizione affinché tutti i cavalieri partecipanti siano sottoposti al comando e all'ordine de “su Mastru Componidori”, ovvero del capocorsa già nominato.

A partire da questo momento tutti gli atti salienti della corsa saranno scanditi dai ritmi dei tamburi e dagli squilli di tromba.

La Vestizione

Il cavaliere prescelto si presenta nella sede della vestizione, accompagnato dai tamburini e trombettieri, vestito con una maglietta bianca, calzoni corti di pelle aderenti e con stivali anch'essi di pelle.

Accompagnato dal suono delle launeddas sale su un tavolo (sa mesita) vero e proprio altare, posto all'interno della sala, dove abbondano grano e fiori.

Da quel momento, su Componidori non può più toccare terra (non podit ponnî pei in terra).

Qualunque contatto diretto con la Grande Madre deve essere evitato perché egli conservi la purezza necessaria a gareggiare e vincere. 

A vestire il Cavaliere ci pensano sas Massajeddas, giovani fanciulle in abito sardo, guidate dalla loro maestra, sa Massaja Manna, mani esperte appartenenti a donne del Gremio.

La vestizione è un vero e proprio rito il cui culmine è il momento in cui viene cucita sul viso  del capocorsa la maschera. L'espressione profonda di questa maschera trasforma su Componidori, lo rende inavvicinabile, inarrivabile.

Da quel momento in poi, sino alla fine della corsa, il Cavaliere diventa un "semidio" sceso tra i mortali per dare loro buona fortuna e mandare via gli spiriti maligni.

Alla fine su Componidori, vestito con in capo un cilindro nero, la mantiglia, una camicia ricca di sbuffi e pizzi, il gilet e il cinturone di pelle, sale sul  che è stato fatto entrare in una sala disposta a religioso silenzio per non innervosire la bestia, gli viene consegnata sa pipia de maju e, completamente sdraiato sul cavallo, esegue sa remada per passare sotto la porta ed uscire all'esterno, dove lo attendono gli altri cavalieri e una folla plaudente che subito inizia a benedire.

Sfilata del corteo di Eleonora

L'arrivo de su Componidori nella via Duomo, dove si tiene la corsa alla stella, è anticipato  da una ricca sfilata di giovani che in costume medievale e rinascimentale accompagnano una ragazza a cavallo che impersona il ruolo di Eleonora d'Arborea, la regina oristanese che sul finire del Trecento ha retto magistralmente e con saggezza le sorti del Giudicato d'Arborea, l'antico regno medievale con capitale Oristano, le cui sorti cessarono nei primi decenni del XV secolo in seguito alla definitiva conquista aragonese della Sardegna.


La Corsa alla stella

Ultimata la vestizione su Componidori, preceduto da un corteo in abito tradizionale sardo, dai membri del gremio e da tamburini e trombettieri, unitamente ai suoi luogotenenti su Segundu Cumponi e su Tertzu Cumponi, si mette alla testa di altri 117 cavalieri mascherati, con cavalli riccamente bardati, e si dirige verso la via Duomo.

Qui, dopo aver benedetto la folla che lo attende, consegna sa pipia de maju a s'Oberaju Majore per ricevere le spade con cui effettuerà la cerimonia dell'incrocio delle spade: al di sotto della stella che è stata appesa sul percorso, per tre volte incrocia la propria spada con quella de su Segundu con evidente valore propiziatorio.

Sarà poi lui stesso a poter tentare per primo la sorte, lanciandosi al galoppo con la spada tesa nel tentativo di infilzare la stella. L'onore sarà concesso poi dapprima ai suoi aiutanti di campo e poi, cavallerescamente, alla pariglia dell'altro Componidori.

Il capo corsa concede via via la spada ad altri cavalieri, in segno di fiducia o di sfida nei confronti della loro abilità. Quanti e quali cavalieri avranno l'onore e l'onere di calcare la pista è sua esclusiva decisione.

Una volta soddisfatto del numero di stelle colte per il proprio gremio e per la città, ritorna sul percorso per restituire le spade a s'Oberaju Majore e ricevere su stocu col quale tenterà ancora una volta di cogliere la Stella.

Potrà concedere di sfidare la fortuna con quest'arma anche ai suoi luogotenenti, dopodiché, con in mano ancora una volta sa pipia de maju, lancerà il cavallo al galoppo e, completamente sdraiato su di esso, benedirà la folla con ampi gesti: è sa remada, con la quale dichiara conclusa la corsa alla stella e al termine della quale il corteo si riunisce per spostarsi nella via Mazzini, lungo la quale si corrono le pariglie.

Le Pariglie

Uscendo lanciati al galoppo dal portico che si apre all'inizio della Via Mazzini, tutti i cavalieri, ad eccezione delle pariglie dei Componidoris (che non possono rischiare di cadere da cavallo compromettendo così la propria sacralità) si esibiscono in spericolate acrobazie in piedi sulla groppa dei propri destrieri, fino a quando le condizioni di luce lo consentono.

È qui che maggiormente vengono evidenziate qualità quali il coraggio, la destrezza e assume primaria importanza la simbiosi uomo-cavallo.

Furono introdotte in seguito, quando iniziò a partecipare alla giostra anche la parte non nobile della popolazione, anticamente esclusa dalla corsa alla stella. Emblematico a questo proposito è il fatto che si corra su un percorso situato all'esterno delle mura giudicali (un tempo acquitrinoso) e quindi più popolare.

La Svestizione

Al termine delle pariglie su Componidori saluta la folla benedicendola ancora una volta supino sul cavallo al galoppo, ora assistito dai suoi luogotenenti che gli tengono le briglie e, ricomposto il corteo, si dirige verso lo stesso luogo dove qualche ora prima si era celebrato il rito della vestizione. Qui, sempre a cavallo, si avvicina al tavolo, scende dalla sella badando a non toccare terra e le Massajeddas provvedono a rimuovere gli abiti che ne fanno un semidio e il cavaliere che, per un giorno, è stato re della città, riceve gli applausi e i brindisi in suo onore coinvolgono tutti i presenti.

Al contrario della vestizione, che è un rito quasi privato a cui è molto difficile accedere, la svestizione, altrettanto emozionante, è in genere aperta a tutti. Si dà mano ai fiaschi di vernaccia e alle zippole, dando inizio ai festeggiamenti che si protrarranno per tutta la notte.

Tutti i cavalieri, tamburini e trombettieri e i componenti del gremio si riuniscono per la ricca cena offerta dal gremio stesso, mentre la folla presente si accalca per le vie del centro storico della città mangiando e bevendo sino a notte fonda.

Sia nella serata della domenica che in quella del martedì vengono inoltre organizzati degli spettacoli musicali nelle principali piazze di Oristano, che prevedono sia musica moderna ma anche e soprattutto musica tradizionale sarda con il suono degli organetti e delle launeddas che coinvolge nel ballo persone di tutte le età e anche i numerosi turisti che si trovano in città per assistere alla manifestazione.

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"Sa Sartiglia" di Oristano: Musiche e Colori

a cura delle Volontarie della Pro loco di Oristano

Abbiamo sviluppato il nostro progetto concentrandoci sulle tradizioni musicali eseguite nel periodo della Sartiglia, manifestazione principale di Oristano che si tiene nei giorni della domenica e del martedì di carnevale.

Siamo partite da una breve introduzione sull'origine e la storia della Sartiglia per poi raccontare come si svolge la manifestazione ai giorni nostri, concentrandoci in particolare sulle musiche e sul gruppo dei tamburini e trombettieri, e i passi musicali legati alla Sartiglia.

Durante lo sviluppo del nostro progetto abbiamo avuto modo di intervistare alcuni dei personaggi che hanno fatto importante la Sartiglia, e che in modo diretto l’hanno vissuta.

L’incontro è servito ad arricchire la nostra ricerca e la nostra conoscenza su una manifestazione secolare, che ogni anno richiama in maniera sempre maggiore turisti da tutto il mondo.

Origine e storia della Sartiglia

Nell’Europa medievale delle crociate erano diffusi i tornei equestri cavallereschi e i giochi di addestramento a cavallo.

 Nel corso del XV e del XVI secolo tali manifestazioni rifioriscono sotto forma di grandi spettacoli offerti al popolo. Anche la Sartiglia di Oristano è da considerarsi come un pubblico spettacolo, organizzato al fine di intrattenere e divertire gli spettatori.

Un'attenzione speciale era riservata in particolare alle corse all'anello, che venivano indette da sovrani e feudatari in occasione della presa di possesso di cariche di re o vescovi, di nascite di eredi al trono o di particolari festività del calendario liturgico, coinvolgendo direttamente il ceto nobiliare e relegando il popolo al rango di spettatore.

La Sartiglia ha origine proprio da questi tipi di spettacoli.

I più antichi documenti riguardanti la storia della Sartiglia di Oristano, custoditi nell’Archivio Storico cittadino, si trovano in un registro di consiglieria datato 1547-48 in cui si parla di una Sortilla organizzata in onore dell'imperatore Carlo V probabilmente nel 1546.

Altri documenti, successivi, riferiscono dell’acquisto, da parte dell’autorità cittadina del tempo nella bottega di un maestro falegname, degli stocchi da utilizzare per la corsa.

Questo particolare induce a pensare che probabilmente, in età spagnola, in origine la corsa fosse organizzata dalla stessa istituzione municipale, e, successivamente, affidata ai Gremi, le associazioni di mestiere operanti nella Città Regia a partire dal XVI secolo, che hanno tramandato la tradizione della Sartiglia sino ai nostri giorni.

Attualmente non si conoscono documenti che testimoniano la corsa in età medievale ma i frequenti rapporti dei regnanti oristanesi con i signorotti dell’Italia dei Comuni del XIII e del XIV secolo, non che i lunghi soggiorni dei nostri giudici nelle grandi città della Spagna in piena età medievale, inducono a supporre che i sovrani del giudicato d’Arborea conoscessero bene i giochi di esercitazione militare, e che nella capitale arborense, così come nelle grandi città dell’Europa del tempo, nobili e cavalieri si cimentassero con la spada e la lancia nelle prove di abilità e addestramento a cavallo.

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Il Martire Glorioso

a cura di Martina Buffa e Laura Manca - Pro loco di Pula 

Pula è un importante centro di oltre settemila abitanti, situato nella costa sud-occidentale del Sulcis-Iglesiente, a circa 30 km da Cagliari. Vanta di possedere diversi kilometri di spiaggia bianca e sabbiosa che richiamano, durante il periodo estivo, numerosi turisti.
Anche la zona interna del paese offre un affascinante scorcio della fauna e flora tipica del mediterraneo, che è possibile ammirare compiendo escursioni in bici o a piedi all’interno della foresta di Pixina Manna e Is Cannoneris.

Di grande interesse anche il sito archeologico della città di Nora, che attesta la presenza di comunità fenice, cartaginesi e romane nel territorio.

Poco distante dall’antica città di Nora è presente la Chiesetta in stile romanico dedicata al culto di Sant’Efisio Martire, all’interno della quale è presente la cripta dove fu imprigionato il Santo. L’edificio venne ricostruito su una preesistente aula di culto dai monaci di San Vittore di Marsiglia, nel 1089, e donata dal Giudice di Cagliari.

La Chiesa è costruita in blocchi d’arenaria locale di differenti dimensioni disposti in file regolari, molti dei quali sono di riutilizzo, come ad esempio, una stele punica nel muro sud. Nella sua parte alta la diversità della tecnica muraria, più irregolare, indica una ripresa costruttiva, dovuta a un cedimento statico avvenuto presumibilmente in corso d’opera. Lo stesso può notarsi nella parete orientale, presso l’angolo sud-est, dove la muratura è costituita da blocchi di dimensioni più piccole.

L’interno si articola in tre navate. Divise da archi sorretti da grossi pilastri a sezione quadrangolare e coperte da volta a botte, la cui imposta è sottolineata da una cornice. La navata centrale si conclude con l’abside semicircolare con arco a tutto sesto; l’area presbiteriale è interamente occupata dalla copertura di un vano sotterraneo, una cripta rettangolare appartenente al santuario primitivo dedicato al martire Efisio.

La Chiesa di Sant’Efisio è il luogo d’arrivo della processione devozionale che ai primi di Maggio onora il Santo conducendolo qui dall’omonima Chiesa cagliaritana di Stampace, dove dimora per il resto dell’anno.

La devozione del Martire aumentò soprattutto in seguito alla grande peste che si abbatté a Cagliari nel 1656. Per debellare la peste fu chiesta l’intercessione del Santo e per questo motivo il Municipio di Cagliari emise il voto di portare ogni anno, dal 1° al 4 maggio, il simulacro di Sant’Efisio in processione dalla sua Chiesa di Cagliari a quella di Nora, scegliendo il mese di Maggio quale simbolo di rigenerazione della natura e diventando così la processione più lunga del Mediterraneo.

“Ti chiedo, Signore, di difendere Cagliari dalle invasioni dei nemici; e ti prego affinché i cagliaritani abbandonino il culto degli idoli e dei demoni, e riconoscano te solo come vero Dio. Quanti tra essi saranno colpiti da malattia e verranno dove giacere il mio corpo, possano recuperare la salute. Nel pericolo del naufragio, dell’oppressione dei barbari invasori, nelle carestie e nella peste, possano, rivolgendosi alla mia intercessione, essere liberati dai loro mali.”

Formula che il soldato Efisio pronunziò prima di morire.

I “costumi musicali” a Pula sono legati essenzialmente alle manifestazioni religiose che si svolgono all’interno del paese. Nelle prossime pagine verranno descritti nel dettaglio gli strumenti musicali,le preghiere, i costumi tradizionali e i balli tipici del nostro paese.

La festa più sentita e partecipata del paese è la festa di Sant’Efisio svolta i primi di Maggio, ormai giunta alla sua 360^ edizione, che richiama a se numerosi fedeli e turisti che accorrono da tutta la Sardegna per porgere omaggio al Santo.

Durante la festa di Sant’Efisio si fondono devozione, fede, cultura e tradizioni centenarie in una processione che non ha eguali.

Tutto ha inizio il 30 Aprile con la vestizione del simulacro per opera dell’Arciconfraternita, completata con l'aggiunta di ori e gioielli offerti dai fedeli come ex-voto. Una volta terminata la vestizione il Santo viene riposto nel cocchio.

Il 1° Maggio ha inizio la festa vera e propria. Su Carradori, preposto alla guida dei buoi che trainano il cocchio, addobba gli animali con fiori e campanelli. Quindi il Terzo Guardiano a cavallo, accompagnato dalla Guardianìa, si reca al Palazzo Civico.

Qui li attende l'Alter Nos, rappresentante del sindaco della città. Insieme si recano alla chiesa di Sant'Efisio dove viene celebrata la "Messa dell'Alter Nos".

Le traccas, carri addobbati a festa trainati dai buoi, aprono il corteo, seguiti dai costumi tradizionali sardi provenienti da tutta la Sardegna, suonatori di launeddas e i cavalieri del Campidano lungo le vie del quartiere di Stampace.

La statua del Santo, sul cocchio di gala, dalla Chiesa di Sant’Efisio si dirige verso il Municipio scortata dall’Arciconfraternita.

Una Tracca
Dopo che il Santo è stato ampiamente salutato per le vie della città, prosegue il suo cammino lungo il Viale La Playa, salendo sul ponte della Scafa per giungere a Giorgino. Nella Chiesetta di Giorgino viene fatto il cambio dei vestiti, sostituendo l’abito da festa con uno più modesto, e il cambio del cocchio, anche in questo caso sostituendo il cocchio da città con quello da campagna per affrontare il percorso del pellegrinaggio.

Lasciata la cappella, il Simulacro viene portato, mediante un pianale dei carabinieri, sino alla Maddalena Spiaggia di Capoterra. Da qui ricomincia la processione, soffermandosi nella Chiesetta di Su Loi per la celebrazione della messa.

Il Santo poi riprende la via della processione sino ad arrivare a Villa d’Orri. Anche qui viene svolta una breve funzione religiosa. Ultima tappa del 1° Maggio è il paese di Sarroch, accolto da numerosi fedeli, nel quale si sofferma per la notte.

Il 2 Maggio il Santo riprende il suo pellegrinaggio, proseguendo verso Villa San Pietro, dove viene officiata la messa nella Chiesa di San Pietro Apostolo. In seguito il Santo raggiunge l’entrata di Pula a mezzogiorno, dove l'Alter Nos affida al Sindaco la responsabilità del Rito. Accompagnato dalle traccas, i cavalli e i gruppi in costume, prosegue la processione per le vie del paese sino ad arrivare alla Chiesa di San Giovanni Battista.

Qui viene celebrata la Messa. La sera riprende la processione e davanti alla Chiesetta di San Raimondo il Santo viene ripreso in consegna dall'Arciconfraternita e scortato fino a Nora, dove vi rimane una notte.

Processione in spiaggia
Durante la giornata del 3 Maggio vengono celebrate numerose messe, tra cui una con il vescovo. La sera alle 18 ha luogo la processione a mare sino ai ruderi dell’antica città di Nora, presunto luogo del suo martirio. In seguito a questo momento ricco di suggestione, il Santo riprende la via verso Pula, sempre accompagnato dai suonatori di launeddas, costumi tradizionali sardi e dai cavalli, che aprono il corteo.

Il 4 Maggio, dopo aver celebrato la prima Messa nella Chiesa di San Giovanni Battista, il Santo riprende la strada per Cagliari, ripercorrendo a ritroso le tappe attraversate, il 1° e 2 Maggio. A Giorgino vengono sostituiti nuovamente i vestiti modesti con quelli per la festa, e viene cambiato il cocchio con quello per la città.

Il Santo, in un silenzio infranto solo dalla recita dei goccius e il suono delle launeddas, rientra a Cagliari, accompagnato sempre dai numerosi fedeli, i cavalieri, e i gruppi in costume.
Termina così, con l’arrivo del Santo nella Chiesetta di Stampace e lo scioglimento del voto, la festa di Sant’Efisio.

Più intima ma sempre molto sentita dal popolo Pulese è la festa che viene svolta a Gennaio in memoria della morte del Santo. In questa occasione il simulacro di Sant’Efisio viene portato in processione da Pula a Nora la sera del 14 Gennaio, accompagnato dalla confraternita di Sant’Efisio di Pula, abiti tradizionali sardi e i cavalieri.

Il giorno dopo vengono officiate numerose Messe e la mattina avviene la suggestiva processione a mare, accompagnato dal suono delle launeddas e le preghiere dei fedeli. La notte il Santo ritorna nella Chiesa di San Giovanni Battista a Pula.

Abbiamo scritto in precedenza che i “costumi musicali” vengono riscoperti durante le feste del paese, e in particolare durante la festa di Sant’Efisio.

Simulacro di Sant'efisio
Ciò che rende speciale la festa di Sant’Efisio è proprio l’insieme di suoni che fanno da cornice alla processione, regalando ai presenti emozioni molto forti. Il suono degli strumenti musicali si fonde al paesaggio sonoro nel suo complesso, come insieme di eventi acustici e soprattutto di “sensazioni” auditive che contraddistinguono un determinato luogo/occasione.

Il paesaggio sonoro è costituito da un insieme di sonorità, sporadiche o continue, che, nella percezione e nella memoria di chi è presente, rimandano a un determinato ambiente spazio-temporale.

Alla costruzione del paesaggio sonoro della festa partecipano, in primo luogo, le campane di chiesa, che in passato scandivano la vita della comunità, riservando alla festa uno specifico repertorio di “Arrepiccus”, ossia rintocchi rapidi, ritmicamente vari e arricchiti dalla polifonia timbrico/ritmica di più strumenti.

All’arrepiccu, si aggiungono le campanelle e i bubboli pendenti dai collari e da finimenti dei cavalli che aprono il corteo, i campanacci dei buoi che trainano il cocchio con il Simulacro del Santo e le antiche traccas, i carri addobbati a festa con tappeti e fiori, adibiti al trasporto di cose o persone.
I suonatori di launeddas, svolgono un ruolo molto importante, suonando a cuncordia e concertando le “nodas” del repertorio processionale.

Il suono delle launeddas durante le feste è una costante nello scenario del Sud-Sardegna. E’ bello vedere, oggigiorno, soprattutto in occasioni delle feste religiose, giovani appassionati che accompagnano il Santo lungo le vie del paese suonando launeddas e organetti.

Nel corso degli anni la figura del suonatore delle launeddas ha subito molte trasformazioni.
Nel XX secolo il suonatore di launeddas è stato spesso affiancato o anche sostituito, durante la processione, dall’organetto, che riprende lo stesso tipo di suonate processionali e l’accompagnamento delle voci. La funzione della musica è quella di conferire solennità al rito, ma anche di delimitare lo spazio del sacro che si sposta con l’avanzare del santo.

Al termine della celebrazione, il suono delle launeddas accompagna i “Goccius”, canti devozionali in onore dei santi, di Cristo e della Madonna comprendenti un notevole numero di strofe. Con la messa si terminavano le funzioni religiose ma non l’impegno del suonatore di launeddas.

A Pula si son perse queste tradizioni, mentre in numerosi paesi dell’entroterra sardo è ancora in uso aspettare l’uscita del suonatore dalla chiesa, il quale, nel sagrato o in una piazza idonea, avrebbe suonato su ballu ‘e missa dando appuntamento ai presenti alle danze del pomeriggio-sera.

A partire dagli anni ’30-40 la figura del suonatore di launeddas ha dovuto fare i conti con una realtà sociale e culturale in rapida trasformazione. È gradualmente scomparsa la pratica del sonai a tzeracchia (suonare per i ragazzi), con l’affermarsi di nuove forme di socializzazione e con la possibilità per ragazze e ragazzi di trovare luoghi per ballare e incontrarsi alternativi alle danze domenicali in piazza. In tali occasioni potevano essere impiegati strumenti più versatili, come la fisarmonica, capaci di proporre i repertori tradizionali, ma anche i “balli” civili, ossia quelli di origine “continentale”.

Dove non si usavano le launeddas, i balli pubblici potevano essere accompagnati dal flauto a tre buchi e dal tamburino (pipiolu e tamburinu) e poi dalle benas, dai sulittus e dai pipiolos (insieme al tamburo e al triangolo) e quindi, nel secolo scorso, dall’organetto e dalla fisarmonica.

Tuttavia anche tali occasioni si sono progressivamente ridotte contestualmente allo sviluppo di forme di divertimento, per così dire, “meno partecipate” e più spettacolari: momenti in cui il “fare”, ossia il ballare, cede il passo all’ascoltare e al vedere gli altri.

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La Magia di Sant'Efisio

a cura di Martina Buffa e Laura Manca - Pro loco di Pula 

La Sardegna vanta una tradizione musicale florida e feconda, intrecciata alle più antiche tradizioni dell’Isola.
Tra sacro e profano, tra feste e riti santi, in ogni paese dell’Isola, nelle campagne, nei villaggi e nelle città la poetica musicale ha sempre rivestito un ruolo fondamentale per allietare e accompagnare ogni singolo momento della quotidianità.

Risuonano ancora forti i canti delle donne, tra lo sfodero dei cesti e il calore del focolare.

Tra i campi e i pascoli riecheggiano le poesie dei pastori e dei contadini e nelle piazze si odono i colori dei balli e le vibrazioni delle launeddas suonate con passione dai suonatori.

Composizioni improvvisate, antiche tecniche segrete, riti ancestrali si tessono dando vita a una delle più antiche tradizioni musicali d’Europa .

I cantori hanno usato le loro poesie per sfidarsi satiricamente in pubblico; i giovani hanno per anni cantato le loro serenate accompagnati dai suonatori di launeddas; gli anziani hanno insegnato ai loro figli i passi dei balli e le strofe di canzoni eterne.

Anche nei paesi che apparentemente sembrano abbiano perso le più antiche tracce del passato vi sono ancora radicate le remote memorie di una tradizione musicale ancora presente e attuale.

Nella città di Pula, che attualmente è un centro turistico di rinomata importanza, sebbene si sia persa una parte delle antiche tradizioni musicali, durante le feste religiose si mantiene ancora una forte identità legata in particolar modo ai riti in onore di Sant’Efisio Martire.

Una tradizione che riesce a unire in maniera trasversale le diverse generazioni che abitano all’interno del paese e che ha contribuito ad avvicinare anche una larga fetta di giovani alla passione della musica tradizionale sarda.

La nostra ricerca si è focalizzata sulle tradizioni musicali, in termini di senso ampio, all’interno della festività legata al Santo.

Abbiamo quindi partecipato in maniera attiva alle processoni e agli eventi del paese legate al culto del martire: a partire dalla prima uscita nella fredda notte del 15 Gennaio sino alle famosissime processioni di Maggio che comprendono non solo Pula ma Cagliari e altri i paesi vicini.

In queste occasioni abbiamo documentato attraverso fotografie, video e audio il suono delle launeddas, dei campanacci , delle campane delle chiese, i canti delle processioni, l’antico rosario recitato in lingua sarda e i versi dei Goccius, i canti sacri che si recitano per ricordare la vita del Santo. Dalla ricerca è emerso una florida documentazione che ha dato un effettiva riprova del fortissimo sentimento di appartenenza del paese legato al culto di Sant’Efisio, capace di unire gli anziani e i bambini.

Si è inoltre notata una riscoperta passione da parte dei giovani verso le tradizioni musicali tipiche della propria terra con una interessante elemento di novità rispetto al passato: il superamento della differenziazione di genere .

Se infatti un tempo suonare gli strumenti era una prerogativa riservata solo agli uomini, ora anche le ragazze si avvicinano con passione e successo alle launeddas, all’organetto e alla musica tradizionale, mostrando l’evoluzione di una tradizione che si mantiene con forza, rinnovandosi ed evolvendosi profondamente.

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mercoledì 11 maggio 2016

La Pro loco di Pula

Le rovine di Nora
L'Associazione Turistica Pro Loco Pula nasce nel maggio del 1995 dopo essere rimasta per lungo tempo inattiva. 

La sua "rinascita" la si deve grazie all'impegno profuso da un gruppo di giovani ragazzi pulesi desiderosi di impegnarsi in un'attività stimolante e gratificante attraverso la promozione turistica di un territorio che ogni anno attira migliaia di turisti. 


L'attività dell'Associazione si è incentrata fin dall'inizio sulla promozione turistica attraverso l'istituzione di un Ufficio di Informazioni Turistiche situato all'interno del Centro Culturale "Casa Frau" - sede dell'Associazione nella centrale Piazza del Popolo, che è diventato in poco tempo un punto di riferimento per l'intera costa sud-occidentale della Sardegna.


L'Ufficio ha da subito fornito un servizio importante ed apprezzato permettendo al turista di accedere alle informazioni dopo avere trascorso la giornata a godere delle bellezze del nostro territorio.


Insieme alla promozione turistica, non dimeno, l'attività si è concentrata anche sugli aspetti tradizionali della cultura sarda, attraverso una serie di iniziative che hanno fatto conoscere gli aspetti più caratteristici della produzione artigianale. 


Una di queste manifestazioni, Artifolk ,creata fin dal lontano 1995, è diventata una manifestazione di riferimento della produzione artigianale che consente a chi la visita di apprezzare non solo il prodotto finito ma anche di ammirare l'arte di realizzare l'oggetto attraverso la dimostrazione dal vivo dell'artigiano che , attrezzi alla mano, lavora durante l'intera durata della manifestazione.



Scopri con noi il nostro territorio!


Chiesa di Sant'Efisio (Nora)





















    Un Anno di  Eventi

    • Aperilibro
    • Artifolk
    • Sa Passillada
    • Carnavale
    • Manifestazione Vendemmia


    INFO - POINT

    Centro Culturale "Casa Frau"- Piazza del Popolo - 09010 - PULA (CA)

    Phone: +39 345 4072100
    E-mail: infoprolocopula@tiscali.it
    Facebook: https://www.facebook.com/atprolocopula/