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Giuseppe Biasi,corteo nuziale |
a cura di Davide Chia volontario della Pro loco di Santadi
Con questo termine quindi ci si riferisce solo ed esclusivamente a quella parte di musica che veniva tramandata oralmente, di generazione in generazione, da un popolo.
Una delle maggiori difficoltà legate alla ricerca sulle tradizioni musicali sarde sta proprio in questo:
la mancanza di una tradizione scritta, la mancanza di documentazione conservata per le generazioni future, quelle che non apprendono più come si faceva un tempo, “per sentito dire, o raccontare” “per averlo visto coi propri occhi” ma attraverso libri, documenti, video, file, siti internet, che riportano alla luce un passato ormai molto lontano. Infatti la musica folkloristica si imparava e si trasmetteva soprattutto “ad orecchio” e perciò col passare del tempo le canzoni potevano variare nel ritmo e nell’intonazione, facendo della continua evoluzione un caratteristico tratto della musica folk.
La musica folk sarda (ma il riferimento può essere esteso alla musica folk in generale) poteva essere eseguita da persone che avevano studiato la musica ma perlopiù era prodotta da musicisti e cantanti non professionisti e, a volte, neppure grandi intenditori di musica. In genere questi “improvvisatori” traevano ispirazione da eventi concreti, come le grandi feste religiose, la primavera, i festeggiamenti e le celebrazioni di città e paesi per produrre musica.
Le canzoni prodotte venivano molto spesso accompagnate da particolari balli.
→ Quando si parla di ETNOMUSICOLOGIA, ci si riferisce a quella parte della musicologia e anche dell'etnologia che studia le tradizioni musicali orali dei popoli del mondo.
Fino a pochi decenni fa tale disciplina veniva chiamata in maniera più generica “musicologia comparata”, poiché uno dei suoi scopi principali era il confronto delle musiche dei popoli extraeuropei tra loro e con quelle dei popoli occidentali.
Tale disciplina era nata sul finire del XIX secolo in Inghilterra e Germania, ma già nella metà del 1700 per effetto del mito illuminista del “buon selvaggio” e per il crescente interesse verso un certo tipo di archeologia musicale l'interesse verso la musica di continenti e civiltà extraeuropei si era già sviluppato.
Durante tutto l’Ottocento persistette una visione molto approssimativa delle musica extraeuropee, contaminata oltretutto da un giudizio estetico fortemente negativo.
Ma sul finire dello stesso secolo, tale atteggiamento poco oggettivo venne sostituito da uno sempre più scientifico, grazie anche all’influsso delle teorie evoluzionistiche e comparativistiche di Darwin e Spencer applicate anche in quest’ambito dagli studiosi della musica.
In questo modo gli studi musicologici sono progressivamente usciti dai confini di conoscenza musicale basata su presupposti colti e hanno capito quanto fossero parziali e insufficienti le teorie musicologiche basate sull’assunzione di determinati elementi teorici come gli unici in grado di costituire il vero paradigma della musica.
Oggi l'etnomusicologia è una scienza musicologica autonoma, che ha raggiunto, seppur lentamente, l’indipendenza dalle altre discipline musicologiche e folkloriche e importantissima perché ha come proprio oggetto di studio l’analisi specifica della produzione etnomusicale orale prodotta in aree o da culture poste al di fuori della tradizione musicale europea scritta e di tipo colto; l'indagine etnomusicologica si rivolge quindi verso la musica delle popolazioni ''primitive'', la musica orientale e il folklore musicale delle popolazioni dell'Occidente.
Tre sono le fasi attraverso le quali si sviluppa la ricerca etnomusicologica:
la prima fase è caratterizzata dalla raccolta sul campo, consistente nella registrazione di canti, danze e musiche strumentali nell'ambiente fisico e sociale degli ''informatori'' stessi.
La seconda fase si fonda invece sulla notazione e trascrizione del materiale raccolto, cui segue infine la terza fase, di elaborazione e di interpretazione dei dati, che rappresenta la fase conclusiva dell'indagine etnomusicologica.
Una delle maggiori difficoltà legate alla ricerca sulle tradizioni musicali sarde sta proprio in questo:
la mancanza di una tradizione scritta, la mancanza di documentazione conservata per le generazioni future, quelle che non apprendono più come si faceva un tempo, “per sentito dire, o raccontare” “per averlo visto coi propri occhi” ma attraverso libri, documenti, video, file, siti internet, che riportano alla luce un passato ormai molto lontano. Infatti la musica folkloristica si imparava e si trasmetteva soprattutto “ad orecchio” e perciò col passare del tempo le canzoni potevano variare nel ritmo e nell’intonazione, facendo della continua evoluzione un caratteristico tratto della musica folk.
La musica folk sarda (ma il riferimento può essere esteso alla musica folk in generale) poteva essere eseguita da persone che avevano studiato la musica ma perlopiù era prodotta da musicisti e cantanti non professionisti e, a volte, neppure grandi intenditori di musica. In genere questi “improvvisatori” traevano ispirazione da eventi concreti, come le grandi feste religiose, la primavera, i festeggiamenti e le celebrazioni di città e paesi per produrre musica.
Le canzoni prodotte venivano molto spesso accompagnate da particolari balli.
→ Quando si parla di ETNOMUSICOLOGIA, ci si riferisce a quella parte della musicologia e anche dell'etnologia che studia le tradizioni musicali orali dei popoli del mondo.
Fino a pochi decenni fa tale disciplina veniva chiamata in maniera più generica “musicologia comparata”, poiché uno dei suoi scopi principali era il confronto delle musiche dei popoli extraeuropei tra loro e con quelle dei popoli occidentali.
Tale disciplina era nata sul finire del XIX secolo in Inghilterra e Germania, ma già nella metà del 1700 per effetto del mito illuminista del “buon selvaggio” e per il crescente interesse verso un certo tipo di archeologia musicale l'interesse verso la musica di continenti e civiltà extraeuropei si era già sviluppato.
Durante tutto l’Ottocento persistette una visione molto approssimativa delle musica extraeuropee, contaminata oltretutto da un giudizio estetico fortemente negativo.
Ma sul finire dello stesso secolo, tale atteggiamento poco oggettivo venne sostituito da uno sempre più scientifico, grazie anche all’influsso delle teorie evoluzionistiche e comparativistiche di Darwin e Spencer applicate anche in quest’ambito dagli studiosi della musica.
In questo modo gli studi musicologici sono progressivamente usciti dai confini di conoscenza musicale basata su presupposti colti e hanno capito quanto fossero parziali e insufficienti le teorie musicologiche basate sull’assunzione di determinati elementi teorici come gli unici in grado di costituire il vero paradigma della musica.
Oggi l'etnomusicologia è una scienza musicologica autonoma, che ha raggiunto, seppur lentamente, l’indipendenza dalle altre discipline musicologiche e folkloriche e importantissima perché ha come proprio oggetto di studio l’analisi specifica della produzione etnomusicale orale prodotta in aree o da culture poste al di fuori della tradizione musicale europea scritta e di tipo colto; l'indagine etnomusicologica si rivolge quindi verso la musica delle popolazioni ''primitive'', la musica orientale e il folklore musicale delle popolazioni dell'Occidente.
Tre sono le fasi attraverso le quali si sviluppa la ricerca etnomusicologica:
la prima fase è caratterizzata dalla raccolta sul campo, consistente nella registrazione di canti, danze e musiche strumentali nell'ambiente fisico e sociale degli ''informatori'' stessi.
La seconda fase si fonda invece sulla notazione e trascrizione del materiale raccolto, cui segue infine la terza fase, di elaborazione e di interpretazione dei dati, che rappresenta la fase conclusiva dell'indagine etnomusicologica.