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Su Fogarone |
Nei decenni scorsi, uomini e donne che partecipavano alla festa, si ricavano a cavallo presso la chiesa campestre di S. Antonio abate, scenario delle funzioni liturgiche me della ritualità connessa ai festeggiamenti del Santo.
Anche in tempi non tanto lontani, quando le autovetture non esistevano o erano ancora privilegi di pochi, si è riscontrato il perdurare della tradizione dell’uso dell’ animale come mezzo di trasporto, come se la presenza del cavallo, fosse in qualche modo congrua alla solennità della festa.
Il simulacro del Santo veniva portato in processione dalla chiesa parrocchiale di S. Bartolomeo, dove tuttora si conserva, fino alla chiesetta campestre, ubicata nel paesaggio collinare delle campagne che collegano Ossi a Florinas.
Il corteo processionale era costituito, come abbiamo detto in precedenza, da fedeli a cavallo, ma soprattutto da uomini da uomini e donne che a piedi accompagnavano la statua del Santo.
Attualmente la popolazione si avvale di più moderni mezzi di trasporto per raggiungere la chiesa, e il simulacro stesso non è più portato a spalla, bensì a bordo di un camioncino che, sporadicamente, è accompagnato, nel viaggio, da qualcuno che compie il tragitto a piedi per sciogliere un voto.
La legna ancora oggi viene raccolta già dai primi di gennaio, in modo spontaneo. Si compone di fascine e tronchi di rami di ulivo e vite: le colture che sono presenti , in prevalenza, nelle campagne intorno al paese.
Nell’indagine è emerso che nel passato la raccolta dei materiali da bruciare avveniva per lo più per iniziative private, nelle aree demaniali intorno alla chiesa, oppure nelle campagne, che venivano in questo modo liberate dalla legna accatastata dopo la fase di potatura, come talvolta accade in tutti i paesi della regione.
Attualmente sono due i falò che vengono allestiti la sera del sedici, vigilia della ricorrenza del Santo.
Nel caso di Ossi si tratta di un falò campestre.
Il pane benedetto viene distribuito, al termine della cerimonia, ai fedeli presenti, che lo consumano o lo conservano nelle loro abitazioni come segno benaugurate.
Il parroco procede poi con la benedizione del fuoco e dei presenti.
Il parroco di Florinas, cui compete la giurisdizione della chiesa, sebbene si trovi nel territorio comunale di Ossi, benedice la catasta realizzata dal paese che egli rappresenta. L’accensione del fuoco è seguita da quella di un cero, che farà bruciare le candele tenute in mano dai fedeli florinesi. Pertanto, le candele non saranno utilizzate solo per la funzione di illuminare lo spazio esterno, ma come simboli di luce-vita.
Mentre arde il falò, i fedeli florinesi compiono, con le candele in mano, tre giri intorno alla chiesa, per poi raggiungere l’ingresso dell’edificio per assistere alla messa officiata dal parroco del loro paese.
E’ da sottolineare la valenza del numero dei giri compiuti intorno all’edificio, corrispondente a tre, il numero che simboleggia nella Cristianità la Trinità.
All’uso comunitario del fuoco all’esterno, più legato agli uomini che realizzano la catasta e hanno cura che non provochi incidenti, ne corrisponde parallelamente uno di dimensione privata, legato quindi al focolare domestico, per le donne cui spetta la preparazione del pane.
Attualmente il falò viene allestito nella piazzetta antistante al sagrato della chiesa, mentre in origine il fuoco bruciava nella nuda terra, debitamente preparata, della campagna. Non risulta che l’accensione del falò fosse demandata a qualche persona con particolari abilità, così come ancora oggi capita.
La catasta veniva realizzata con particolare cura, affinché la legna potesse bruciare in maniera uniforme.
Lo stesso si verifica oggi.
Il termine che, ad Ossi, designa l’innesco del fuoco è s’allughinzu.
Secondo una credenza diffusa, dalla rapidità in cui divamperanno le fiamme del falò, si possono trarre auspici sui risultati dell’annata agraria.
In molti riti agrari ai roghi, alle braci e alla cenere viene attribuito il potere legato alla crescita delle messi e il benessere di uomini e di animali da eventuali sciagure.
E’ attestata ancora oggi l’usanza in alcuni paesi della Sardegna,(ma anche in Sicilia, dove il culto per S. Antonio abate è particolarmente diffuso), di far camminare il bestiame sulle braci o di farlo ruotare intorno al fuoco in funzione apotropaica.
Allo spegnimento del fuoco, era tradizione in diversi paesi, raccogliere i tizzoni residui per un loro utilizzo in cucina, poiché si ritiene che abbiano il potere di neutralizzare le disgrazie.
I racconti delle persone più anziane del paese, che costituiscono insostituibile memoria storica della comunità, descrivono un falò intorno al quale si ballava, si abbondava in libagioni, e le braci che rimanevano venivano utilizzate per cucinare le carni che venivano consumate comunitariamente.
L’uso di saltare il fuoco è venuto meno già da qualche anno, mentre ancora in anni poco lontani, si è registrata la tradizione di girare più volte intorno al fuoco, tenendosi per mano.
In questo gesto si legge il valore della festa quale occasione per rafforzare i legami sociali.
Eì emerso che fino a un recente passato, si allestissero all’interno del paese, in particolar modo nei quartieri, in particolar modo nei quartieri storici come Litterai, dei fuochi e che, per la festa di S. Antonio, ci fosse la tradizione di contrarre legami di comparato tra gruppi di giovani, tramite il fogarone.
Si trattava di fuochi per cui non era prevista nessuna partecipazione da parte delle autorità civili ed ecclesiastiche.
Frasche, paglia, vite, rami secchi e materiale di risulta servivano a creare , la sera del sedici, delle grandi cataste da bruciare, il più alte ed imponenti possibili.
L’uomo attorcigliava un lembo della gonna della donna con cui avrebbe dovuto saltare il fuoco , la donna un lembo della camicia dell’uomo.
Prima di saltare il fuoco, il ragazzo e la ragazza, che suggellavano il nuovo rapporto, recitavano:
“A comare, a compare
A comare del fogarone
A ch’entannos in allegria a durante custa fumaria nostra”.
Tutti coloro che avevano saltato insieme il rogo si consideravano da quel giorno “compare” e “comare” e, a distanza di tanti anni, è ancora rimasta l’abitudine, tra queste persone, di identificarsi in questo modo.
Il fuoco, carico di numerose valenze, assume quindi in un più ampio e sfaccettato contesto, valore di forza rigeneratrice, poiché lo spegnimento del fuoco rinvia al caos, alla morte e la sua riaccensione segnala il ricomporsi del cosmos e la ripresa della vita a livello umano e della natura.
Ogni anno si rinnova così, ciclicamente, l’ordine universale delle cose.
La giornata del diciassette prevede la celebrazione al mattino delle funzioni liturgiche, officiate una dal sacerdote di Florinas e l’altra dal sacerdote di Ossi, al termine della quale vengono offerti dolci, che la tradizione vuole consumati ritualmente in comune.
In tempi passati si portava con se quanto si possedeva e si poteva reperire nelle singole abitazioni; non mancavano mai le carni di maiale , l’animale che è in associazione con S. Antonio e che, in qualche modo, rappresenta simbolicamente il Santo stesso.
Venivano impiegate abbondanti quantità di vino, inu a disgrascia.
I legami comunitari vengono rinsaldati, attraverso la condivisione dei pasti e delle bevande, nonostante questa tradizione si stia dissolvendo, soppiantata dalla vendita nelle bancarelle di prodotti alimentari, torrone, dolci, salsicce di maiale, formaggi.
In tempi passati, si allestivano delle grandi tavolate in cui si riuniva l’intera comunità, mentre oggi è più frequente che piccoli gruppi familiari si riuniscano nelle abitazioni private delle campagne intorno alla chiesa.
Resta comunque immutato il coinvolgimento della popolazione, in particolare devozione, come avviene in molti paesi dell’isola.